sabato 8 dicembre 2012

Evento imprendibile


Amo questa immagine, scattata alla facciata della chiesa Matrice del mio paese una trentina di anni fa. Non conosco bene l’iconografia cristiana; mi ha sempre intrigato la suggestione che trasmette ogni volta che la guardo. E’ l’immagine che ho eletto a simbolo della lunga ricerca che mi ha portato a comprendere, di suggestione in suggestione, quello che c’è dietro le diverse forme della composizione.
Siamo parte di un sistema geometrico, e il sole, che lo governa, con un raggio più lungo degli altri, ne è la metafora più efficace. E’ il sole che ci ha rivelato per primo i numeri dell’universo, il suo ritmo, ed è sempre lui, attraverso quel raggio, che ha disegnato a terra le prime misure.
Attraverso la decodifica dei ritmi della natura, nostro unico Dio, l’uomo ha due possibilità compositive: una coerente con tutto questo, l’altra totalmente arbitraria. La prima cristallizza il risultato della composizione, la seconda lo rende fluida, caotica. La cristallizzazione è la morte, l’unione col caos genera la vita.
Le due possibilità sono, in realtà, una.
La differenza tra la vita e la morte è una questione di numeri.
Adoro la filosofia della composizione; ha reso eternamente vivo il lavoro, elevandolo al rango di arte. Ne farei materia d’insegnamento, esattamente come fecero alla scuola pitagorica, per trasformare l’esoterico in essoterico, ma così essoterico da fargli scalare hit parade e vincere telegatti. “Signore e signori ecco a voi, da tredici anni, cinque mesi e tre settimane al primo posto in tutte le classifiche italiane….il sistema geometrico del…PARTENONE! Franco Battiato ci ha provato a mettere al centro delle sue composizioni le geometrie euclidee, ma è una voce nel deserto. Dovrebbero sostenerlo a gran voce Eros Ramazzotti (mi scusino i proprietari di gran voce), leader incontrastato del paradosso inconsapevole collettivo, Claudio Baglioni e Andrea Bocelli, rispettivamente secondo e terzo.
…e non sperate di trarre refrigerio e giovamento dalla presenza delle “guest star”, Teresa Tassiello e Armando Merenda: le loro performance sono state totalmente coptate da brani e testi assolutamente coerenti al tema della serata. O di cercare una risposta ai vostri interrogativi dai miei ospiti e amici Teresa Laera e Biagio Putignano. Sareste dei pazzi.
Gaetano Ficarella


domenica 5 agosto 2012

Il corpo che canta


Carissimi,
dopo il successo del primo appuntamento di Ergo Cantemus, vi invitiamo a partecipare al momento più importante didattico dell'anno, che l'Associazione Florilegium Vocis organizza.
IL CORPO CHE CANTA
Laboratorio di approfondimento al canto corale
Docenti
Marco Berrini
Sabino Manzo
Bari, Auditorium Vallisa

Si affronteranno i problemi sulla vocalità corale e l'uso della voce nel canto, nonchè uno sguardo verso le peculiarità interpretative e stilistiche corali nel repertorio scelto. Il corpo come fonte inesauribile del nostro suono e del nostro cantare; percorsi di coordinamento ritmico-motorio, ci porteranno a conoscere il nostro corpo nella sua attività musicale.
Il corso si svolgerà in 2 weekend in ottobre in un totale di 18 ore.
Sabato 6 ottobre 2012: ore 16,00 - 19,00
Domenica 7 ottobre 2012: 9,30 - 12,30/pausa pranzo/15,30 - 18,30
Sabato 27 ottobre 2012: ore 16,00 - 19,00
Domenica 28 ottobre 2012: 9,30 - 12,30/pausa pranzo/15,30 - 18,30
Il costodel laboratorio, per singolo weekend è di 55 euro
Si può scegliere il pagamento dei singoli weekend o prenotarsi per il totale.
La partecipazione è aperta a chiunque abbia voglia di fare l'esperienza corale o ha già delle esperienze, per i musicisti, i direttori, i cantanti e gli amatori, che amano la coralità e la praticano. A fronte dell' avvenuta iscrizione, saranno spedite per mail le partiture che saranno affrontate durante i laboratori, per permettere, a chi ne fosse in grado, di preparare le parti richieste. Al termine dei 2 weekend sarà rilasciato un attestato di partecipazione per gli usi consentiti.
Ci saranno convenzioni per i pasti ed eventuali pernottamenti, da concordare in precedenza, con l'organizzazione.
Per l'iscrizione scrivere a: florilegium.vox@gmail.com, specificando nome, cognome, mail, numero di telefono, registro vocale, esperienze maturate.
Vi aspettiamo numerosi!

Scarica la scheda di iscrizione




sabato 4 agosto 2012

In vino veritas


Barocco Festival Leonardo Leo
XV edizione
IN VINO VERITAS
Opera pasticcia ma non troppo...
Domenica 26 agosto 2012
Chiostro delle Scuole Pie
Brindisi
Per il Festival Barocco Leonardo Leo, nel giorno della "Notte Barocca" una serata unica, in un viaggio nel mondo dei piaceri del vino in epoca barocca. Nel Chiostro delle Scuole Pie di Brindisi, Paolo Panaro ci accompagnerà in un viaggio fatto di suoni, di luci, di atmosfere tra '600 e '700, in un gioco inebriante di piacevoli allusioni.

Ensemble Florilegium (con strumenti antichi)
Violini - Flavio Maddonni, Rita Iacobelli
Viola - Teresa Laera
Cello - Claudio Mastrangelo
Cembalo - Jacopo Raffaele
Tiorba - Paola Ventrella
Gruppo Vocale Florilegium Vocis Menica Papa, Anna Giordano, Gaetano Manzo, Gianluca Borreggine                                                                                

Soprano Maria Luisa Dituri

Voce Recitante Paolo Panaro

Direttore Sabino Manzo



sabato 16 giugno 2012

Solstizio D'Estate 2012

" Come pietra scheggiata di luce"
Meditazione artistica sul Solstizio D'Estate
Testi di Giorgio Mazzanti
Musica di Sabino Manzo
Gruppo vocale Florilegium Vocis
Direttore e pianista Sabino Manzo


"Come pietra scheggiata di luce" è il titolo dello spettacolo del 21 giugno in Cattedrale a Bari che vedrà protagonista il gruppo vocale Florilegium Vocis diretti e accompagnati al pianoforte da Sabino Manzo, autore anche delle musiche originali per la scena. I testi di Giorgio Mazzanti, scritti per l'occasione, ci porteranno in un'atmosfera di riflessione sulla fede, in una visione cristologica del fenomeno del sole che alle ore 17,10 di ogni anno entra nella Cattedrale dal suo rosone centrale per colpire nel segmento perfetto, lo stesso rosone in pietra posto sulla pavimentazione a ridosso del presbiterio. Un fenomeno antico e contemporaneo che ci riporta alla spiritualità dell'architettura di un tempio, posto non a caso al centro di un percorso solare. Uno spettacolo da non perdere.

lunedì 28 maggio 2012

Lagrime

C'è solo da stupirsi di fronte a tale meraviglia...
Un rimpianto non essere stati presenti....INCREDIBILE!

giovedì 24 maggio 2012

Ergo cantemus

Da Mercoledì 6 giugno 2012 per ogni mercoledì sino al 25 luglio, presso la Chiesa di San Gaetano a Bari, l'Associazione Florilegium Voci, in collaborazione con Ars Cantica Choir di Milano, Arcopu, Feniarco e Auditorium Vallisa, organizza il laboratorio sulla coralità di base con il M° Sabino Manzo. Un campus estivo per cantare insieme ed approfondire gli aspetti peculiari del cantare in coro. Chiunque fosse interessato può ancora iscriversi mandandoci una mail al seguente indirizzo: florilegium.vox@gmail.com, specificando i dati anagrafici ed il registro vocale.
Vi aspettiamo!!!

giovedì 17 maggio 2012

Il nuovo cd di Pippo D'Ambrosio

Lunedì 21 maggio 2012, alle ore 12,oo presso l'Auditorium Vallisa di Bari, il nostro amico Pippo D'Ambrosio presenta il suo ultimo lavoro discografico. Siete tutti invitati!!










Ingresso libero. Info: 347.4250444 / www.digressionemusic.it / www.digressionecontemplattiva.org/

venerdì 11 maggio 2012

La forma del suono

Oggi si è svolta una bellissima ed interessante discussione sulla forma e la costruzione nella composizione artistica. Una relazione meravigliosa che il nostro amico Nino Ficarella ha tenuto nelle aule accademiche del conservatorio cittadino. Credo, non con facili entusiasmi, di poter condividere il pensiero di tutti i presenti sulla assoluta necessità di avvicinarsi al passato e alle espressioni più ecclettiche dell'arte. Attraverso profonde analisi, anche tecnicistiche e scientifiche, dalla pittura secentesca, alla letteratura e poesia trecentesca, all'architettura contemporanea, abbiamo rilevato quanto sentiamo il bisogno di razionalizzare il pensiero e la creazione artistica. Uno studio interessante e necessari per tutti coloro che fanno della creazione la loro vita!
Grazie Nino per il tuo grande contributo all'arte ormai abbandonata da tutti!
Il tutto è contenuto nel volume che il nostro amico nino ha pubblicato.
Leggetelo!!!
SM

mercoledì 9 maggio 2012

Ergo cantemus!

Se avete voglia di vivere un campus estivo dedicato alla coralità sana e genuina, approfondendo aspetti importanti per introdursi negli aspetti più profondi del cantare, e del cantare insieme ad altri, iscriviti a questa esperienza! Insieme ogni mercoledì dalle 19 alle 22, canteremo tanta musica che dovremmo cantare tutti e magari, provandoci gusto, riusciamo anche a diventare un coro...
Quindi ergo cantemus...
Vi aspettiamo!

Per info:
Sabino Manzo
+39 3393347692
sabinskj@yahoo.it
florilegium.vox@gmail.com
www.sabinomanzo.it

lunedì 9 aprile 2012

mercoledì 4 aprile 2012

The music power



Michel Petrucciani nasce a Orange (in Francia) il giorno 28 dicembre 1962; di origini italiane, il nonno era di Napoli, mentre il padre Antoine Petrucciani, meglio conosciuto come Tony, era un rinomato chitarrista jazz, dal quale il piccolo Michel assorbe subito la passione per la musica.

Fin da bambino impara a suonare la batteria ed il pianoforte; si dedica dapprima allo studio della musica classica e solo successivamente al genere prediletto del padre, il jazz, dalla cui collezione di dischi può attingere in modo ampio per prendere ispirazione.

Dalla nascita è colpito da una malattia genetica chiamata osteogenesi imperfetta, nota anche come "Sindrome delle ossa di cristallo", per la quale le ossa non crescono, costringendolo a un'altezza inferiore al metro. Considerata la splendida carriera, i riconoscimenti ricevuti, ma soprattutto il carattere forte, combattivo e allo stesso sensibile di Michel, si può capire quanto straordinaria è stata in vita la sua voglia di riuscire, superando le difficoltà che la malattia comportava.

La prima esibizione in pubblico di Michel Petrucciani arriva quando ha solo tredici anni: la sua carriera di musicista professionista prende il via solo due anni dopo, quando coglie l'occasione di suonare con il batterista e vibrafonista Kenny Clarke, con cui Michel registra il suo primo album a Parigi.

Dopo un tour francese in cui accompagna il sassofonista Lee Konitz, nel 1981 Petrucciani si trasferisce a Big Sur, in California, dove viene notato dal sassofonista Charles Lloyd, che lo invita a diventare membro del suo quartetto per tre anni. Questa collaborazione vale al jazzista francese il prestigioso "Prix d'Excellence".

Michel è un musicista e un uomo sensibile e le sue straordinarie doti musicali così come quelle umane gli permettono di lavorare anche con musicisti del calibro di Dizzy Gillespie, Jim Hall, Wayne Shorter, Palle Daniellson, Eliot Zigmund, Eddie Gomez e Steve Gadd.

Petrucciani considera il suo disagio fisico un vantaggio, tale da permettergli di dedicarsi completamente alla musica. Per suonare deve necessariamente utilizzare un particolare dispositivo, realizzato dal padre quando Michel era giovane, che consiste in un parallelogramma articolato, che gli permette di raggiungere i pedali del pianoforte.

Tra i numerosi riconoscimenti che Michel ha ricevuto durante la sua purtroppo breve carriera, si possono ricordare l'ambitissimo "Django Reinhardt Award", la nomina di "miglior musicista jazz europeo", quest'ultimo da parte del Ministero della Cultura Italiano, e la Legion d'Onore nel 1994.

Nel 1997 a Bologna ha modo di esibirsi alla presenza di papa Giovanni Paolo II, in occasione del Congresso Eucaristico.

Nella vita privata, in cui non sono mancati vizi ed eccessi, ha avuto tre relazioni importanti. Ha avuto due figli, uno dei quali ha ereditato la sua malattia. La sua prima moglie è stata la pianista italiana Gilda Buttà, dalla quale ha poi divorziato.

In seguito a una banale influenza, contratta per la testardaggine di voler andare a festeggiare un capodanno camminando al freddo nella neve, Michel Petrucciani muore il 6 gennaio 1999 a New York, in seguito a gravi complicazioni polmonari. Aveva solo 36 anni. La sua salma giace presso il cimitero parigino di Père Lachaise, accanto alla tomba di un altro grandissimo compositore: quella di Fryderyk Chopin





"Se non posso essere normale voglio essere un'eccezione, un artista eccezionale" (M. Petrucciani)

domenica 26 febbraio 2012

venerdì 10 febbraio 2012

Bleib bei uns


Resta con noi perché si fa sera
e il giorno già volge al declino. (Lc 24,29)

giovedì 9 febbraio 2012

San Sabino

Si tratta di un vescovo vissuto tra la fine del secolo V e la metà del VI, di lui prima dell’episcopato non si sa praticamente nulla; sembra che sia succeduto come vescovo di Canosa di Puglia a Memore nel 514.
Lo si ritrova con altri vescovi nel 531, accanto a Bonifacio II nel Sinodo romano di quell’anno; oltre ad essere un campione di virtù, doveva essere molto saggio e uomo di dottrina, visto la missione di grande importanza che gli aveva affidato il papa Agapito.
S. Sabino fu inviato come capo di una commissione di vescovi, nel 535 a Costantinopoli, su invito dell’imperatore Giustiniano, per constatare, dibattere e condannare l’eresia monofisita del patriarca Antimo, la sua rimozione e la sostituzione con il nuovo patriarca Mena.
Papa Agapito che era giunto personalmente per evitare conflitti, morì sul luogo il 22 aprile 536; toccò a Sabino e agli altri vescovi continuare nell’opera, affiancando il patriarca Mena nel sinodo da lui indetto nel 536, da cui scaturì la condanna definitiva di Antimo, Severo, Zoara e dei loro discepoli monofisiti.
S. Gregorio Magno racconta che Sabino era solito visitare s. Benedetto a Montecassino, a cui portava sincera amicizia, in una di queste visite disse a s. Benedetto che era preoccupato per l’ingresso di Totila re degli Ostrogoti in Roma (dicembre 546) ricevendo come risposta che Roma si sarebbe disfatta da sé per altre vie. E fu con Totila che si verificò l’episodio in cui il re barbaro in giro nel Meridione, in una delle sue incursioni, arrivò a Canosa e invitato a mensa dal santo vescovo, ormai vecchio e cieco, volle provarne lo spirito profetico, offrendogli lui stesso del vino al posto del servo, Sabino chiamandolo per nome lo ringraziò.
Anche un ambizioso arcidiacono, gli preparò una bevanda avvelenata, ma il vescovo lo scoprì e disse al servo che gli porgeva la coppa: “Io berrò il veleno, ma egli non sarà vescovo”; Sabino rimase incolume e l’altro proprio allora si accasciò morto.
Dopo circa 52 anni di episcopato, il santo vescovo morì il 9 febbraio del 566. La città di Canosa di Puglia lo venera come suo patrono, ma anche Bari gli tributa grande culto, venerandolo come compatrono insieme a s. Nicola. Bari ereditò dall’XI secolo la sede episcopale, fino allora dipendente da Canosa.

mercoledì 8 febbraio 2012

L'universo ci aiuta sempre a lottare per i nostri sogni,
per quanto sciocchi possano sembrare.
Perchè sono i nostri,
e soltanto noi sappiamo quanto ci costa sognarli.

Paulo Coelho - Sulla sponda del fiume Piedra

domenica 5 febbraio 2012

LA PASSIONE SECONDO LUCA

Johann Sebastian Bach nell’arco della sua vita compose cinque Passioni, in una stesura completa. Di queste, solo due ci sono familiari: la Passione secondo San Marco e la Passione secondo San Giovanni. Queste due erano state lasciate da Bach in eredità al figlio Karl Philipp Emanuel, che nel carattere, come coscienza e serietà, ricordava molto il padre. Le altre tre partiture finirono al figlio più anziano, Wilhelm Friedemann. dal carattere debole e che le circostanze costrìngeranno a separarsi poco per volta dai manoscritti paterni. Delle tre Passioni che ereditò, due dobbiamo considerarle irrimediabilmente perdute. 

La Passione secondo San Luca si differenzia da quelle di Matteo e Giovanni per un certo numero di particolari e sembrerebbe trattarsi di una stesura molto precedente a quelle due. Il lavoro è in prevalenza nel "vecchio" stile, con largo uso di corali e impiego relativamente scarso di arie e cori di stampo lirico e drammatico. Una di queste arie, Selbst der Bau der Welterschuttert, in effetti sembra essere in qualche modo una sorta di tentativo ed è piuttosto debole, ma le altre arie ed i cori non mancano di forza e di individualità e non sfigurano al confronto con le migliori Cantate bachiane del periodo di Weimar. 
La storia è tratta direttamente dai Capitoli XXII e XXIII del Vangelo di Luca e i recitativi ed i cori seguono l’originale parola per parola. Come nella Passione di Giovannie di Matteo, il ruolo dell’Evangelista è affidato al tenore e quello di Gesù al basso. Lo stile melodico dei recitativi è immediatamente individuabile come bachiano mentre le concatenazioni armoniche dell’accompagnamento paiono qualitativamente inferiori ai lavori successivi. L’organico orchestrale comprende due flauti traversi, due oboi, fagotto, due violini e una viola. La scrittura per il fagotto ha un rilievo particolare e lo studioso bachiano Philipp Spitta notò che Bach mostrava una speciale predilezione per questo strumento durante la sua permanenza a Weimar, probabilmente perché nell’orchestra che ivi operava si trovava un suonatore di fagotto particolarmente bravo. 
Di notevole interesse sono i corali, parecchi dei quali Bach ha inserito nella Passione secondo Matteo e nelle Cantate. Era altresì uso che i fedeli si unissero al canto delle melodie dei corali, e per questa ragione venivano impiegati inni a loro già noti. 
Nonostante la presenza di elementi tipicamente bachiani nella Passione secondo San Luca, più volte sono stati espressi dubbi sulla sua paternità. 
Mendelssohn, che nel 1829 riportò alla luce e ripropose la Passione secondo Matteo, alimentando così quel rinnovato interesse per Bach dopo circa un secolo di oblio, contestò decisamente la Passione secondo San Luca. In una lettera all’amico Franz Hauser, che si era procurato il manoscritto, scrisse: "Mi spiace che tu abbia sborsato così tanti soldi per la Passione di Luca. Certo, per un manoscritto, quale è, non hai speso molto, ma indubbiamente non si tratta di opera di Bach. Tu mi chiederai: ‘Su quali basi dici che la Passione secondo Luca non è musica di Bach?’ Sul piano intrinseco. È deplorevole che debba sostenere questo, quando il manoscritto è diventato tuo, ma guarda solo il corale Troste mich und mach mich Satt! Indubbiamente la mano che lo ha scritto è quella di Bach. Ma è troppo lineare. Lo ha copiato. ‘Di chi è, allora?’ dirai. Di Telemann, di M. Bach, di Alt Nichel, di Jung Nichel, di un qualche Nichel? Che ne so? Non è di Bach". 
Mentre le parole di Mendelssohn esercitarono una profonda influenza durante il XIX secolo, gli studiosi moderni arrivarono a saperne molto di più sul come eseguire la musica corale di Bach, e così non diedero più molto peso alla sua opinione. Allorché Mendelssohn ripropose la Passione secondo San Matteo, fece uso di un coro di tre o quattrocento elementi, stabilendo così un modello che sarebbe durato fino agli anni Venti di questo secolo. Un tale numero di voci non solo era di gran lunga sproporzionato rispetto a quelle (al massimo cinquantacinque) che Bach aveva a disposizione a Lipsia, ma addirittura perde ogni senso se si considera che lo stesso Bach considerava un coro di dodici elementi un minimo accettabile. Che la delicata struttura della Passione secondo San Luca non possa sostenere un coro di trecento voci è certamente fuori discussione: anzi, per la maggior parte degli studiosi moderni, non c’è musica di Bach che lo regga. 
Un fatto comunque resta certo: il manoscritto fu redatto da Bach di suo pugno. Inoltre nel frontespizio reca le lettere J.J. (Jesu, Juva! Gesù aiutami!), con cui regolarmente Bach contrassegnava le partiture di musica sacra, e che - per quanto sappiamo - non mise mai su copie di lavori altrui. Inoltre la "calligrafia" stessa ci riporta chiaramente al periodo bachiano di Lipsia, probabilmente ad una data posteriore alla composizione della Passione di Giovanni e di Matteo, anche se la musica in sé appare meno "matura" e sviluppata di quanto non sia in queste due. 
Il grande studioso e biografo di Bach, Philipp Spitta, dopo accurato studio arrivò alla conclusione che questa Passione è non solo genuinamente bachiana, ma è la prima delle cinque. 
Susseguentemente la Bach-Gesellschaft riconobbe l’autenticità dell’opera e la incluse nell’edizione completa delle opere. Wolfgang Schmieder, che curò il catalogo definitivo delle composizioni di Johann Sebastian Bach, ne concluse pure la genuinità. Ma la sola autenticità non sarebbe poi del tutto sufficiente se la musica mancasse di quella preziosa bellezza che siamo soliti trovare nelle composizioni sacre di Bach. Fortunatamente tale bellezza si trova in abbondanza anche in questo lavoro, che accomuna drammaticità d’ispirazione e varietà melodica. 
Non possiamo però mancare di citare il parere di Albert Schweitzer, che nel libro su Bach, a proposito della Passione secondo San Luca, scrive: "La Passione secondo San Luca non può essere di Bach, ma deve trattarsi dell’opera di qualche sconosciuto che Bach ha copiato inserendovi qua e là opportune modifiche: gli unici punti in cui brilla un po’ di luce". Come si vede, dunque, la questione resta aperta e fa sì che la maggior parte degli odierni studiosi di Bach – sia a livello specialistico, sia in scritti di più ampio respiro storico enciclopedico – o affrontino con cautela l’argomento evitando di prendere posizione pro o contro l’autenticità dell’opera, o addirittura tralascino di trattare l’argomento (è il caso ad esempio di Paul Steinitz, che nel quinto volume della monumentale The New Oxford History of Music, dedicato alla musica sacra di quel periodo, non ne fa alcuna menzione). Alberto Basso, autore di uno dei più recenti contributi critici all’opera di Bach, ribadisce che "[...] spuria è una Lukas-Passion,pervenuta autografa ma sicuramente copiata da un manoscritto di altro autore, forse intorno al 1712". 
Forse in un futuro si potrà dire la parola definitiva su questo lavoro che, pur non essendo fra i maggiori del suo genere, è indubbiamente una testimonianza non trascurabile sul grande di Eisenach e sulla pratica che egli aveva di copiare musica di altri autori, assimilandola e trasformandola con l’impronta inconfondibile del suo genio. Impronta che si nota sicuramente anche in questa Passione e che eleva la materia musicale, facendola brillare di luce nuova.
Marco Berrini

IDENTIKIT

Un po' più paffuto e decisamente diverso da quello che conosciamo dai quadri che lo ritraggono. Ecco come appare il vero volto di Johann Sebastian Bach, ricostruito sulla base del teschio con una serie di elaborazioni via computer.

Il Centro Forensico Universitario di Dundee, in Inghilterra, presieduto dalla dottoressa Caroline Wilkinson, ha ricostruito al computer le fattezze del volto di Johann Sebastian Bach. "Abbiamo effettuato una precisa scansione laser del suo cranio, la quale ha permesso al programma di ricostruire la muscolatura del viso del grande compositore. Con la mappatura della struttura ossea di un cranio si è in grado di determinare la morfologia del viso e di produrre un quadro accurato dell'aspetto facciale".

Il Centro Forensico Universitario di Dundee è forse più noto nel settore per i suoi lavori di ricostruzioni facciali, sia per facilitare l'identificazione forense che per indagini archeologiche.


venerdì 3 febbraio 2012

Infinita bellezza


Poche cose nella vita possono raggiungere la perfezione di questo mottetto.
Meraviglia assoluta!

giovedì 2 febbraio 2012

Orchestra Giovanile Pugliese


AUDIZIONI
Associazione Polifonica Barese
“Biagio Grimaldi”
di Bari


indice AUDIZIONI per la formazione dell’
Orchestra Giovanile Pugliese (OGP) 
per la realizzazione della 
Prima Stagione Concertistica 2012/2013

A breve troverete la scheda di iscrizione
 sul sito:



info e dettagli: sabinskj@yahoo.it ;
 +39 3393347692

I poeti lavorano di notte


I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle. 
(Alda Merini)

domenica 8 gennaio 2012

Storie baresi

«A Peppino Decataldo, accompagnatore diurno e notturno dei miei indimenticabili giorni baresi». Firmato Eduardo De Filippo. Peppino ha le lacrime agli occhi. Nella sua piccola casa al centro di Putignano i ritratti e le foto del Maestro hanno il posto d'onore accanto a quelle dei giovani nipoti. Per un quarto di secolo, dal 1956 sino al 1979, Peppino e Maria Decataldo furono per Nino Rota una vera e propria famiglia. «Dovete assaggiare il pollo come lo fa Maria» ripeteva spesso il Maestro ai suoi ospiti. De Filippo come Federico Fellini o Alberto Sordi oltre che al pollo di Maria si affezionarono presto anche alla cinquecento decappottabile con cui Peppino li portava in giro. «Ci fu chi mi consigliò – racconta – di farmi autografare l'interno della cinquecento. Ma chi aveva il coraggio di chiedere a Eduardo De Filippo, piuttosto che a Fellini, di mettere una firma?». 

Quel quarto di secolo vissuto accanto al Maestro non si dimentica. Un affetto ed una devozione sconfinati segnano i ricordi di Maria e Peppino. Presto capisco che se a casa Decataldo si parla «del Maestro» si parla di lui. Tutti gli altri musicisti, di fronte a Rota, sono seduta stante “degradati” a professori. In Conservatorio Peppino e sua moglie vissero per molti anni come custodi. «Lì – raccontano – nacquero i nostri figli. Il Maestro era il primo a farci visita e veniva anche il prof. Claudio Malaguzzi Valeri, cardiologo, amico e suo medico personale». Rimasero con lui anche quando andò in pensione. «Ci trasferimmo nella casa in piazza della Cattedrale, nella città vecchia. Noi abitavamo al primo piano, lui al secondo».

Quando era a Bari, il Maestro passava in Conservatorio tutte le sue giornate. «La mattina – ricorda Maria – voleva dormire. Non voleva sentir nulla». E fino a quando Rota dormiva nel suo studio, nessuno strumento poteva emetter suono, per non parlare degli studenti di canto che facevano lezione praticamente sulla sua testa. «La mattina verso le nove e mezza il Maestro avvisava che era sveglio e apriva la finestra. Quella finestra segnalava agli studenti la presenza o meno del direttore all'interno dell'istituto».

Nell'universo “rotiano” il tempo aveva un suo scorrere tutto particolare. Quando gli spiegarono che le 16.30 corrispondono alle 4.30 e non alle 6.30 del pomeriggio, Nino Rota accettò il fatto più per atto di fede che per intima convinzione. Così treni ed aerei spesso partirono senza di lui. E c'era sempre il buon Peppino che s'incaricava di raggiungere in auto Napoli o Roma al posto loro. «Era un ritardatario. Una volta – ricorda – doveva andare a Napoli. Lo avvisai che mancavano pochi minuti. Lui non aveva fatto le valigie: arraffò qualche vestito ma ebbe cura di prendere soprattutto i suoi manoscritti. Per lui erano la cosa principale. Ricordo ancora le cravatte che uscivano per metà dalla borsa». Ovviamente il treno Rota quella volta lo perse e a Napoli c'andò in auto con Peppino.

«Ma quando i treni riusciva a prenderli ed arrivava in stazione – continua – allora tutti lo riconoscevano. E capitava che i fattorini si precipitassero al suo binario, lasciando soli con i loro bagagli gli altri passeggeri. Dava mance molto generose». Della generosità di Nino Rota beneficiarono moltissimi. «Quanti studenti hanno avuto in regalo lo strumento o l'abbonamento al treno. Ricordo una volta che lo andai a prendere dalla stazione. Scese dal treno con quindici violini con cui riempimmo tutta la cinquecento. Rimaneva appena posto per noi due e per i bagagli».

Quando il cuore cominciò a fare le bizze Peppino era con lui: «Si sentì male la prima volta in Conservatorio. Il professor Malaguzzi non era a Bari, arrivarono due suoi colleghi. Lo visitarono e disposero il ricovero immediato. Volle che in ospedale lo accompagnassi io. Uscimmo nel corridoio, c'erano tutti. In Conservatorio piangevano anche le pietre».

Il maestro scomparve qualche anno dopo a Roma. Quella sera, era il 10 aprile del 1979, Rota fece comprare i biglietti per la “Madama Butterfly” diretta da Bruno Moretti. «Era in ospedale – ricorda Maria – ci chiamò per avvisarci che i dottori l'avevano dimesso ma sarebbe restato per quella sera nella sua camera. Ho il pianoforte, disse, ho tutto».


Vincenzo Di Tonno

Nino Rota a Bari

31 dicembre 1975, Conservatorio di Musica Niccolò Piccinni di Bari. 

«Mè, muoviti, che il direttore sta aspettando!». Quasi spinto dalla burbera invettiva dell’indimenticabile Maria Decataldo, custode della scuola e moglie di Peppino, autista, factotum e uomo di fiducia su Bari del Maestro, entro in direzione. Sul lunghissimo pianoforte Bösendorfer che occupa quasi tutta la stanza, Rota sta suonando i temi appena sbozzati per il Casanova di Federico Fellini: il regista ascolta, accoccolato in tutta la sua notevole mole sul piccolo letto che sta lungo la parete di fondo della direzione stessa. È questo il ponte di comando da cui Nino Rota, spesso senza darne il sospetto, governa e pilota quello che lui ha reso il più prestigioso e rinomato istituto musicale italiano.

A noi allievi di quei tempi mitici capitava spesso di incontrare per i corridoi della scuola Eduardo De Filippo o Franco Zeffirelli, Lina Wertmüller o Giulietta Masina o Sandra Milo – tanto per citare solo alcuni dei mostri sacri del cinema – per non dire di Carla Fracci o Sviatoslav Richter, Arturo Benedetti Michelangeli o Arthur Rubinstein, Nicola Rossi Lemeni o Virginia Zeani, e così via.

La Bari dell’epoca era una città in cui noi studenti dello storico ed illustre Liceo Classico Orazio Flacco ci sentivamo quasi a disagio perchè l’assenza, almeno apparente tale, di deprecabili ed infami fenomeni di certa criminalità o della diffusione della droga, quasi ci pareva una riprova di una dimensione ancora provinciale e “all’antica”. Saremmo stati ben presto smentiti, ahimè, e non certo gratificati dalla caduta verticale di civiltà che è seguita a quell’ultimo periodo di una dimensione del vivere non provinciale o antiquata, bensì tradizionale nel senso alto del termine e, soprattutto ancora legata saldamente ai valori di princìpi etici reali e determinanti.
Ma allora la smania di aggiornarsi a tutti i costi ai nuovi modelli americanizzanti ci faceva sentire un po’ stretti in quella città in cui ancora ci si conosceva un po’ tutti e dove nei luoghi deputati alla cultura ci si ritrovava davvero tutti.

Quando cominciai a frequentare il Maestro mi accorsi che in quella villa circondata da un giardino e da un alto muro di cinta passavano alcune delle personalità che fino ad allora avevo ammirato e solo sognato di poter vedere da vicino. E scoprii ben presto che gli allievi dell’istituto, allora molto meno numerosi di oggi, apprendevano ad aver confidenza con quello che poteva significare la fama e la genialità, dalla naturalezza con cui quei personaggi venivano portati in giro per i corridoi della scuola, magari affacciandosi ad ascoltare qualche lacerto di lezione in qualche aula.

...ma torniamo a quel 31 dicembre ed a Fellini seduto sul letto in cui Rota dormiva quando era a Bari...

A proposito! Era diritto del direttore di un conservatorio godere di un alloggio nell’edificio scolastico: credo perchè il direttore era l’unica persona ufficialmente autorizzata dai severi regolamenti degli esami di diploma di composizione, ad entrare nelle aule che accoglievano i candidati sottoposti alle due durissime prove di trentasei ore in isolamento. E quanti candidati, sfiniti dalla difficoltà oggettiva di comporre un quartetto o una sinfonia in pochissimo tempo, si vedevano, nel cuore della notte, confortare un po’ dalla cordialità con cui il maestro provvedeva a tranquillizzare il forzato delle note. Con la naturalezza dei grandi spesso Rota suggeriva una soluzione ad eventuali dubbi o inciampi sul percorso compositivo.

… ancora quel 31 dicembre. Rota ci suona i temi principali, Fellini ci snocciola aneddoti su aneddoti circa quel che è accaduto durante la lavorazione del film: tra l’altro erano state rubate alcune parti girate e mai più ritrovate. La stessa sorte era toccata a parti del film Salò di Pier Paolo Pasolini, da poco ucciso in un contesto che Fellini non riusciva ad accettare e che resta ancor oggi poco chiaro. E venne fuori che il protagonista del film, Donald Sutherland…:
-È un bell’uomo!
-Ma quando mai, è bruttissimo!
-Ma è un bravo attore?
-Per carità!
-È simpatico?
-Uno str….zo!
-Ma allora perché l’hai scelto?
-È perfetto per la parte.

Questi paradossi tipici di Fellini non mi facevano più specie, dopo tanti anni di frequentazione, in virtù del mio discepolato col Maestro. Io non escluderei che Sutherland gli piacesse molto e gli fosse anche parecchio simpatico, ma posso assicurarvi che l’effetto di queste uscite bizzarre era sempre esilarante, sempre croccante di quella capacità di sostenere con tracotanza le più sfacciate panzane ed insieme di mentire la verità: questa è forse la cifra più tipica della poetica felliniana, così sapidamente e, starei per dire, arcanamente rivestita dai temi trascoloranti ed evocativi di Rota. 

E nel Casanova la musica ebbe un rilievo amplissimo. Già nel precedente film Roma la geniale sequenza del defilè di moda ecclesiastica è una vera e propria videoclip ante litteram. Nel Casanova alcune sequenze erano vere e proprie pantomime, frammenti di rappresentazioni di opere e veri e propri numeri di danza. E così la musica sosteneva le grottesche performances meccanico-erotiche di un Casanova tutt’altro che seducente così come la danza della bambola meccanica, unico vero amore restato a chi dell’amore, nella spietata visone felliniana, aveva eluso la dimensione più sacra. 

Il Giacomo Casanova felliniano aveva finito per incasellare esperienza su esperienza come in un museo di storia naturale con soggetto principale l’uomo e le sue smanie. Questo tema sarebbe stato poi funereamente variato nella Città delle donne, nell’episodio delle lapidi degli amori collezionati da Sante Catzone. Un autore come Fellini, che si appropriava di personaggi mitici come Giacomo Casanova o dei personaggi e degli eventi del Satyricon per farne un palinsesto da rivestire con le proprie fantasti(farneti)cazioni a costo di falsarne la natura originale, anche nella vita inventava continuamente, anche relativamente a se stesso. 

E credo che Federico talvolta non sapesse a quale se stesso desse parola e sostanza: alla fine di un film, quando a furia di inventare, realtà ed invenzione supplivano ognuna all’altra, il momento del lavoro sulla colonna sonora era per lui il ritrovamento della dimensione della realtà che poteva essergli sfuggita. La forza interiore di un uomo della cultura e della sapienza di Rota, sapeva infatti trasformare continuamente le cose senza perdere mai l’orientamento, attraverso quel mondo della musica che Fellini definiva un mondo con leggi solide ed indiscusse. E la musica di Rota era l’unica che Fellini riusciva ad ascoltare perché, col pretesto della sua funzione nella realizzazione cinematografica, con questo diaframma “professionale” si sentiva protetto da quel mondo sereno del quale si sentiva ospite straniero sotto la virgiliana tutela rotiana.

Girammo tutto il conservatorio quel primo pomeriggio dicembrino, e mostrammo a Fellini la biblioteca ed il busto di Piccinni («Fra cent’anni – disse – naturalmente qui ci metteranno il tuo») e l’incompiuto auditorium, strenuamente voluto da Rota e che sarebbe stato inaugurato parecchi anni dopo la sua morte. Si vede che certe cose hanno un loro destino difficile: o forse non sono abbastanza produttive di potere? L’auditorium è attualmente inagibile, con grave danno della città alla cui cultura musicale Rota aveva cercato di fornire stimoli e strumenti di crescita e consapevolezza.

Nel salone dell’organo Rota suonò sui due gran coda da concerto Steinway e poi sull’organo e poi ancora sul clavicembalo i temi che sarebbero poi confluiti nella partitura. Poi si misero nell’auto di Peppino che li accompagnò all’aeroporto ed andarono a passare insieme la fine dell’anno.

Ed io che c’entravo? Perché ero stato convocato a quello sfiziosissimo meeting rotian-felliniano sotto l’egida della bautta di Casanova?
Mi spettava il regalo di Natale!



Nicola Scardicchio

Passione


Quando l'anima supera la tecnica, entra in scena l'emozione!
Questo è Bach!

WeinachtsOratorium

Un'impresa senza precedenti per la Puglia. Grazie a Maria Luisa, Rosamaria, Menica, Anna, Giusy, Catia, Teresa, Tiziana, Monica, Antonella, Antonello, Gaetano, Francesco, Antonio, Sebastiano, Giuseppe, Ciccio, Francesco, Gianluca, Antonio.
A tutti la nostra infinita riconoscenza!